Qual è il segreto per riuscire a vincere la paura del giudizio degli altri? Facciamo un piccolo viaggio insieme per scoprirlo.
Stiamo vivendo in un periodo complesso. E non mi riferisco tanto al punto di vista sanitario, quanto a quello umano.
Ad oggi, nella vita reale e in quella virtuale, la tendenza a giudicare, spesso anche in modo pesante, è molto forte. E per quanto ci piacerebbe pensare il contrario, credo che nessuno di noi sia immune dal dare giudizi e dalla paura del giudizio degli altri.
D’altronde il giudicare l’abbiamo imparato fin da bambini dalle figure che avevamo come riferimento.
Quante volte:
- ci siamo sentiti dire che eravamo timidi, “cattivi”, monelli, svogliati, ecc?
- Siamo stati ripresi e magari puniti per aver fatto un qualcosa ritenuto sbagliato?
- Ci siamo sentiti dire, talvolta in modo poco accogliente, che quello che avevamo fatto non andava bene?
Tutto questo ha sicuramente avuto un impatto notevole nella nostra vita. Ci ha fornito un modello con cui osservare e giudicare noi stessi e gli altri.
La paura del giudizio degli altri ci porta a giudicare
La paura di essere giudicati ci accompagna fin dall’infanzia.
I bambini hanno bisogno di sentirsi apprezzati, benvoluti, accettati, riconosciuti ovvero amati, ma nel giudizio difficilmente percepiscono questo sentimento. Anzi, il giudizio, spesso attiva la paura del rifiuto e quella dell’esclusione che permangono attive e reattive anche nell’adultità se non ce ne siamo presi cura osservandole, comprendendole e trasformandole.
Sono proprio questi timori primordiali che generalmente ci portano a:
- non dire o fare cose che in realtà riteniamo giuste,
- dire o fare solo le cose che sappiamo essere approvate “dal mondo” lì fuori,
- evitare incontri o confronti con persone che potrebbero giudicarci,
- non esprimere noi stessi.
Questa modalità rischia però, nel tempo, di allontanarci sempre più da noi stessi. Potremmo arrivare a non sapere più chi siamo, cosa ci piace, cosa riteniamo giusto.
E questo, a sua volta, ci fa perdere sicurezza in noi stessi. Ci porta a dipendere dalle parole e dal punto di vista di qualcun altro che, ai nostri occhi, appare come una persona forte, determinata, capace, sapiente.
Il nostro senso critico, la capacità di osservare gli eventi in modo neutro o nel modo più neutro possibile viene meno perché il bisogno di essere accettati e inclusi, da chi è importante per noi, vince.
Questo potrebbe portarci ad abbracciare a spada tratta la visione di questo qualcuno ritenuto da noi “più forte”. Stare “dalla sua parte” ci fa sentire, almeno in apparenza, sicuri.
Pur di non risperimentare quella paura paralizzante, legata alla sopravvivenza, siamo pronti a proteggere questa nostra acquisita verità con le unghie e i denti. E il modo più immediato con cui generalmente lo facciamo è attaccando e giudicando per primi.
Gli indicatori del giudicare
La dinamica del giudicare spesso è così radicata in noi da essere, ai nostri stessi occhi, automatica e inconsapevole. Generalmente non ci accorgiamo di farlo.
Quello che possiamo fare per capire se il giudicare è un qualcosa che ci appartiene è osservare se tendiamo a:
- etichettare noi stessi o gli altri ovvero se tendiamo ad attribuire in modo superficiale e sbrigativo una determinata caratteristica negativa a qualcuno o a noi stessi.
- Giustificarci dicendo che stiamo solo esprimendo un’opinione quando qualcuno ci fa notare che in realtà stiamo giudicando.
- Dividere le persone in due categorie: “ok” e “non ok”. Valutando come “ok” tutte quelle persone che ci piacciono perché pensano e agiscono come faremo noi. E, di conseguenza, valutando come “non ok” tutte quelle che, al contrario, pensano e agiscono in modo diverso da come faremo noi.
- Giudicare gli altri in funzione di quello che faremo noi al posto loro. Quante volte ci siamo ritrovati a dire o a pensare: “Io non avrei mai fatto così”, “Io non avrei mai detto quella cosa”, “Io al suo posto avrei fatto colà”, ecc.? E questo cos’è se non giudicare?
Quello che manca nel giudicare è considerare che siamo tutte persone diverse. Siamo esseri complessi, unici e preziosi.
Ognuno ha una storia che l’ha portato ad essere ciò che è, a fare ciò che fa, a prendere le decisioni che prende. E siamo sempre e comunque esseri in divenire.
Ma noi, quando giudichiamo qualcuno o le sue scelte, cosa sappiamo di tutto questo? Cosa sappiamo della sua vita, delle sue paure, di quali sono le regole che lo guidano?
Siamo veramente a conoscenza dei progressi che già ha fatto, di quelli che sta facendo e di tutti quelli che potrà ancora fare?
Credo di no!
Come possiamo quindi giudicare e talvolta anche attaccare ferocemente una persona senza conoscerla nel profondo, senza sapere cosa prova nel suo intimo, senza avere la minima idea di cosa guida le sue scelte?
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Quando giudichiamo qualcuno quello che facciamo è smettere di osservare quella persona: ci precludiamo la possibilità di guardarla con apertura e curiosità. Ci impediamo di scoprirla, capirla, comprenderla.
Le attribuiamo, come fosse una verità assoluta, quella visione che di lei ci siamo fatti nella nostra testa, che molto probabilmente è sia superficiale che distorta.
Esiste l’essere umano perfetto?
Il problema è che spesso, e in modo del tutto inconsapevole, utilizziamo noi stessi come metro di misura dell’essere umano perfetto.
Crediamo che le nostre regole, che stabiliscono cosa per noi è giusto, siano sicuramente corrette. Pensiamo che i nostri punti di vista siano verità assolute e quindi incontestabili.
Alla luce di questo è ovvio che gli altri – non essendo noi, non avendo le nostre regole e le nostre visioni – ci possono risultare tutti più o meno inadeguati. Talvolta arriviamo anche ad arrabbiarci in modo pesante quando, nella loro libertà, esprimono un punto di vita o un parere diverso dal nostro o nel momento in cui fanno scelte diverse da quelle che avremmo fatto noi.
Ed è proprio qui che, ritenendoci nel giusto assoluto e sentendoci per questo “superiori”, li etichettiamo. Traiamo, osservando unicamente degli aspetti esteriori – come ad esempio quello che dicono o fanno – una conclusione su di loro e gliela appiccichiamo addosso.
Ma ci siamo mai chiesti dietro a tutto questo cosa c’è?
È possibile che una persona, che fa una scelta che noi non condividiamo, abbia avuto un’esperienza dolorosa in passato che oggi la porta a prendere quella determinata decisione?
E poi, chi ci assicura in modo certo e inequivocabile che noi siamo dalla parte della ragione e lei del torto?
Stiamo guardando solo gli indicatori che ci confermano la nostra visione o stiamo guardando anche a tutte quelle cose che, in qualche modo, la possono confutare?
E a prescindere da come stiano veramente le cose, a noi piacerebbe essere trattati in questo modo?
Il segreto per vincere il giudizio degli altri: comprendere invece di giudicare
Dentro le persone c’è un mondo che va al di là di quello che ci è dato vedere o sapere. Ogni essere umano ha in sé un vissuto di cui, spesso, non fa parola con nessuno.
Tutti, nessuno escluso, abbiamo affrontato difficoltà, dolori e dispiaceri. Magari ancora li stiamo vivendo o ce li portiamo dentro. E questo inevitabilmente condiziona come ci relazioniamo e agiamo nel mondo.
Non siamo gli unici ad aver sofferto nella vita e questo, se ci viene la tentazione di giudicare, è utile che ce lo ricordiamo.
Un proverbio dei Nativi Americani dice: “Non giudicare il tuo vicino finché non avrai camminato per tre lune nelle sue scarpe”, che tradotto in parole povere significa “Prima di giudicare qualcuno fai di tutto per comprenderlo”.
E per riuscirci abbiamo da approcciarci a quella persona con empatia e apertura, con il desiderio di volerla veramente ascoltare attivamente per capirla profondamente.
Fare questo ci richiede di mettere da parte noi stessi, le nostre regole, le nostre aspettative, le nostre visioni, le nostre paure e sofferenze per lasciare spazio a lui o lei: a ciò che sente, prova, pensa.
Questa è una grande occasione che la vita ci dà per permetterci di crescere umanamente.
Ci sfida ad andare oltre il bisogno infantile di avere ragione e di sentirci migliori.
D’altronde denigrare gli altri per innalzare noi stessi può solo darci una breve ed egoica illusione di essere “meglio di ….” ma, nel fare questo, non teniamo conto di una cosa importantissima: gli occhi con cui guardiamo loro sono gli occhi con cui, prima o poi, ritorneremo ad osservare noi stessi.
Iniziare a guardare con gli occhi della comprensione anziché con quelli del giudizio, ci richiede di scegliere di approcciarci all’altro con l’intenzione di volerlo veramente capire.
Ci richiede di aprirgli il cuore, di fargli spazio includendolo nella nostra realtà per “sentirlo”.
Questo, molto probabilmente, ci permetterà di scoprire che dietro al comportamento di quella persona ci sono paure e sofferenze più o meno velate.
Mettere in atto questo atteggiamento in cui vive l’amore può arricchirci tantissimo. Spingendoci ad andare oltre, sia il giudicare che il giustificare, ci permette di arrivare a contattare la nostra profonda umanità.
Umanità che diventa così risorsa da far vivere non solo verso l’altro ma anche verso noi stessi.
Sentiremo profondamente che ogni dolore merita rispetto. Che non ce n’è uno di più grande che valga più di un altro. Il dolore è dolore, punto.
Il giudicare parla di noi e ci porta a giudicarci
Ci siamo mai resi conto di quanto il giudicare gli altri parli di noi?
Spesso critichiamo il comportamento o le scelte di qualcuno solo perché a noi fanno paura. Ci riattivano timori e ferite nascoste, mettendoci tutto in evidenza.
È la paura che ci porta nel giudizio degli altri!
Ma ci siamo mai fermati a riflettere su cosa accadrebbe in noi, se dopo esserci erti a giudici, nel tempo ci accorgessimo di aver sbagliato a giudicare quella persona o situazione?
Nello spazio di verità che verrebbe ad aprirsi quale sarebbe il giudizio che in quel momento daremo a noi stessi?
Il giudicare è un atteggiamento che inevitabilmente usiamo a due vie: verso l’altro e verso di noi.
E visto che è un comportamento in cui vive la paura, se invece di fuggire da noi stessi e da quello che grazie all’altro proviamo, cominciassimo ad osservarlo?
Che problema c’è veramente per noi se quella persona tiene quel determinato comportamento o dice quelle parole? Quali conseguenze temiamo si verifichino nella nostra vita?
Queste domande, e le risposte che faranno emergere, ci daranno l’opportunità di guardarci diversamente.
Potremmo accorgerci di quanto la tendenza a giudicare gli altri sia solo una conseguenza delle nostre ferite interiori.
Magari ci sarà dato modo di osservare se la propensione a sminuire o denigrare l’altro sia legata al fatto di volere per noi tutta quell’attenzione, quell’apprezzamento, quel riconoscimento, quell’amore che tanto desideriamo e che, in determinati momenti della nostra vita, ci sono stati negati dalle persone per noi importanti.
Stare con ciò che emerge – togliendo il giudizio – ci permette veramente di scoprire cosa c’è dentro di noi che ci porta nella reattività. Ci dà l’occasione di sviluppare tutte quelle qualità ed abilità che ci possono permettere di diventare più forti.
E paradossalmente è proprio il diventare più forti che ci porta ad accorgerci sempre più della nostra e altrui vulnerabilità e unicità. Ed è proprio qui che ci nasce dentro la capacità di accogliere e accoglierci con amore.
Il giudicare gli altri crea muri e distanza
“Ogni Cuore un Percorso” è un libro di Roberto Senesi che già nel titolo racchiude una grande verità: ognuno di noi, in quanto essere unico, ha un percorso davanti a sé.
L’evoluzione è personale: non esiste un sentiero unico per tutti. Ciascuno di noi ha la sua strada da fare nella vita e nel percorso verso la consapevolezza.
Non stiamo facendo una gara. Nessuno avrà modo di tagliare il traguardo per primo perché questo, non si trova in un posto fisso, è in continuo divenire.
Che senso ha quindi perdere tempo a guardare i percorsi degli altri? Ostacolarli nel loro viaggio, ci porta inevitabilmente a rallentare ed a rendere più complicato il nostro.
Il giudizio crea muri e distanza. Muri che ci illudono di essere al sicuro ma che in realtà ci impediscono di andare avanti nel nostro viaggio.
Li innalziamo perché erroneamente crediamo che la sofferenza sia fuori, in quello che fa o dice l’altro ma non è così. La sofferenza è in noi, è già dentro di noi.
Solo il guardarla e il prendercene cura in prima persona ci farà andare “oltre”. Oltre il bisogno di giudicare l’altro per sentirci migliori quando è proprio l’atto di giudicare che ci dimostra concretamente che così non è.
Giudicare, criticando ciò che provano, dicono o fanno gli altri, ci mantiene nella divisione, nella lotta, nella competizione nella rivalità.
E se invece di andare nel paragone tra noi e loro considerassimo ogni persona unica e preziosa dove potrebbe portarci questo?
Visto che ogni persona ha una storia e sta combattendo le sue battaglie interiori di cui spesso non sappiamo nulla, possiamo pensare e decidere di allenarci ad andare oltre il giudizio? E possiamo farlo anche nei nostri confronti?
Considerare unica ogni persona ci allontana dal giudizio e ci apre alla curiosità di conoscerla veramente.
Alla luce di questo:
- Invece di giudicare quello che fanno gli altri cerchiamo di comprendere i motivi per cui fanno quella cosa. Fare questo ci spinge a fare un grande passaggio interiore in quanto ci chiede di spostarci dalla paura (giudicare) all’amore (comprendere).
- Se stiamo giudicando e qualcuno ce lo fa notare, invece di giustificarci dicendo che era solo un’opinione, ringraziamolo perché ci permette di migliorarci. Ci dà l’opportunità di osservare e capire cosa si muove in noi per eventualmente andarci oltre.
- Usciamo dall’idea che esistano persone “ok” e persone “non ok”. Ognuno di noi ha la sua storia e sceglie in base alle esperienze fatte. Il concetto di giusto e ingiusto o di giusto e sbagliato è molto complesso e soggettivo.
- Smettiamo di utilizzare noi stessi come metro di giudizio. Anche se ci piacerebbe non deteniamo in noi la Verità assoluta delle cose: quello di cui oggi siamo certi domani potrebbe essere confutato perciò invece di giudicare, di osservare gli altri con rigidità se non aderiscono al nostro modello di persona “ok”, alleniamoci a rimanere aperti e curiosi.
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